Questo è il terzo articolo dedicato a ipotesi, riflessioni sparse e non esaustive su quel che potrebbe essere nell’immediato futuro il nostro rapporto con le intelligenze artificiali.

Qui la prima parte. Qui la seconda.

1.

Possiamo attraverso l’intelligenza artificiale istituire parallelismi, analogie, tracciare confini e stabilire similitudini con le caratteristiche della mente umana? Possiamo attraverso l’intelligenza artificiale comprendere maggiormente il nostro funzionamento?

Pensavo a questo disegno fatto qualche settimana fa:

L’unica cosa che avevo in testa era disegnare un uomo elegante che passeggia, usando una serie di tecniche con le quali sto cercando da qualche mese di acquisire confidenza.

A lavoro ultimato, riconobbi che non si trattava certo di una produzione particolarmente innovativa. Mi sembrava ben riuscito, comunque. Gradevole. Quel che non ero pronto a sentirmi dire dalla generalità degli osservatori era che ricordavo Miyazaki (scusali, Sensei; scusali…) o che mi fossi ispirato agli anime giapponesi.

No, non avevo pensato né all’uno né agli altri. Eppure, a guardar bene, il debito appare evidente.

Ora; io ci sono cresciuto, con i cartoni animati giapponesi e la cosa più logica è pensare che certi riferimenti culturali ed estetici siano presenti e agiscano, abbiano una parte rilevante nei miei processi mentali, che io ne sia consapevole o meno.

Quindi: se in me non c’è stata ispirazione cosciente, è comunque ragionevole pensare che io abbia attinto a certe fonti in maniera automatica, inconsapevole.

Ho fatto mente locale e ho riflettuto su quali meccanismi le mia mente abbia utilizzato per condurmi a quel risultato. Ho ipotizzato una sintesi di questo genere:

Disegna un uomo elegante vestito secondo la moda dei primi anni del ventesimo secolo che passeggia in campagna. Utilizza uno stile pulito ed essenziale. Crea un’atmosfera lirica e romantica. Utilizza colori vivaci ma non aggressivi”.

2.

Apriamo una parentesi. Intorno agli anni ’50 del Novecento, la psicologia cognitiva inizia a valutare se sia possibile istituire analogie fra la mente umana e i calcolatori. La prima metà del secolo aveva visto come protagonisti dei dibattiti accademici e scientifici in generale coloro che ritenevano che la mente fosse una scatola nera, inconoscibile nei suoi meccanismi interni. L’unica cosa che si può fare, per studiarla, è rivolgere l’attenzione su quel che possiamo osservare, sui comportamenti. I cognitivisti spostano l’attenzione dal comportamento osservabile al processo che conduce al comportamento:

L’uomo si trasforma pian piano in un elaboratore di informazioni. L’attenzione si sposta sui processi, sulle strategie, sui piani che l’individuo mette in atto per risolvere i compiti piuttosto che sul sistema cognitivo considerato come una totalità […] i teorici dell’elaborazione dell’informazione si dedicano all’analisi, sempre più sottile e minuziosa, dei processi di trasformazione degli input in output considerando separatamente le varie aree del sistema cognitivo […] Scopo di molti psicologi cognitivisti diviene dunque quello di individuare le procedure di processamento dei dati”.

(Farneti, Elementi di psicologia dello sviluppo, Carocci, pp 72-73)

Dagli anni ’50 è passato un po’ di tempo e sono cambiate e si sono fatte più articolate le teorie, gli esperimenti e tutto il resto. Però la faccenda rimane affascinante. Riassunta in maniera un po’ brutale: può essere che il modo in cui il cervello lavora sia in qualche maniera analogo ai processi di calcolo, di elaborazione dell’informazione dei computer, dei software?

Il dibattito va avanti da decenni e non si esaurirà quando avrete finito di leggermi. Ma direi che l’avvento delle intelligenze artificiali gli restituisce freschezza e attualità.

3.

Cosa fa una IA che genera immagini? In termini molto generali: raccoglie, immagazzina, classifica, elabora, rielabora, combina materiali preesistenti. Raccoglie input e restituisce output a partire da determinate richieste. E a partire da tali richieste seleziona elementi pertinenti dai suoi database e ne esclude altri. I procedimenti che utilizza sono noti, dal momento che a codificarli sono stati degli esseri umani.

I procedimenti messi in moto dalla mia testa sono enormemente più oscuri, ma mi domando se non siano dello stesso tipo, se non seguano almeno in parte le stesse logiche. Mi domando cosa ho fatto dopo aver pensato: “Disegna un uomo elegante vestito secondo la moda dei primi anni del ventesimo secolo che passeggia in campagna. Utilizza uno stile pulito ed essenziale. Crea un’atmosfera lirica e romantica. Utilizza colori vivaci ma non aggressivi”.

Forse, ho elaborato e combinato immagini che avevo da tempo immagazzinato e classificato. Le ho probabilmente combinate tra loro. Quando ho disegnato il primo schizzo a mano ho verificato che quel che era arrivato su carta fosse coerente con quel che all’inizio avevo pensato (ho disegnato un uomo elegante? I suoi abiti mi ricordano vestiti di inizio ventesimo secolo? Etc.). E così via.

Quando ho pensato di utilizzare uno stile pulito ed essenziale, il mio cervello ha frugato nei suoi archivi e ha “deciso” di estrarre qualche fotogramma tratto da Conan, il ragazzo del futuro o Si alza il vento.

4.

Di queste faccende, ripeto, ne discute gente di un certo livello. Da un sacco di tempo.

E le implicazioni degli sviluppi tecnologici degli ultimi mesi stanno giustamente ribaltando modelli di pensiero e ridefinendo concetti che si ritenevano sedimentati in maniera più che stabile al livello sia individuale sia sociale.

Ci si sta concentrando, ed è assolutamente comprensibile, su alcuni portati materiali delle IA: porterà via il lavoro ai creativi? Scriverà articoli di giornale meglio dei giornalisti? Farà i compiti a casa al posto degli studenti?

Le aziende vedono grandi opportunità: testi, immagini, piani di marketing. Terabyte di materiali promozionali prodotti in pochi minuti a costi irrisori.

Riprendo pari pari la domanda che apre questo articolo. Ci si concentra per adesso sui prodotti dell’IA e sul loro impatto nel mondo della creatività e dei rapporti di lavoro. Molto meno, al livello di informazione e opinione pubblica, si sta facendo attenzione a un fatto a cui le comunità scientifiche da tempo attribuiscono la massima importanza: possiamo attraverso l’intelligenza artificiale istituire parallelismi, analogie, tracciare confini e stabilire similitudini con le caratteristiche della mente umana? Possiamo attraverso l’intelligenza artificiale comprendere maggiormente il nostro funzionamento?

Ammettiamo ora che il mio disegno sia chiaramente ispirato da Miyazaki. E ammettiamo che Miyazaki lo veda. Potrebbe dirmi che non ho rispettato i diritti d’autore? Potrebbe dirmi che ho usato in maniera illecita il suo lavoro per produrre la mia opera?

5.

Getty Images, una delle più importanti agenzie fotografiche del mondo, ha annunciato che vieterà il caricamento e la vendita di immagini generate utilizzando software di apprendimento automatico come DALL-E, Stable Diffusion e Midjourney, che permettono a chiunque abbia accesso al programma di inserire un input testuale e ottenere una serie di immagini prodotte sul momento dall’intelligenza artificiale.

Il CEO Craig Peters ha spiegato di aver preso la decisione per proteggere i propri clienti, dato che cominciano ad emergere diversi dubbi legali rispetto alla proprietà intellettuale delle immagini prodotte da questi programmi. Per poter rispondere alle richieste anche molto fantasiose degli utenti, queste intelligenze artificiali sono infatti allenate su database che contengono milioni di immagini raccolte sul web, tra cui moltissime creazioni di artisti e fotografi indipendenti che non hanno dato il proprio consenso” (da un articolo del Post, che potete leggere integralmente qui).

Ecco, la questione non riguarda solo i database delle IA: perché, al netto di ispirazione intuizione gusto e tutte quelle cose lì, è indubbio che ogni creativo, ogni artista formi la sua personalità e nutra il suo talento attraverso l’acquisizione di ciò che gli, le sta attorno; di ciò che vede e che colpisce i suoi sensi e stimola il suo pensiero. Nel momento in cui parlo di Miyazaki come di una fonte di ispirazione, sto implicitamente ammettendo che io i disegni di Miyazaki li ho visti, li ho interiorizzati, li ho sezionati, li ho studiati per capire cosa della sua opera posso portare nel mio mondo interiore.

Questo mondo interiore potrebbe costituire la differenza fondamentale fra l’intelligenza umana e quella artificiale. Eppure, i processi di quest’ultima potrebbero essere un riflettore potente che illumina parte dei percorsi cognitivi attraverso i quali gli umani ragionano, classificano, decidono. L’istituzione di anlogie, similitudini potrebbe essere dietro l’angolo.

Se così fosse, potrebbe darsi il caso che l’uso che io faccio dei miei modelli culturali ed estetici sia ugualmente sanzionabile rispetto a quel che fanno OpenAi & Co. del mare magnum di materiali visuali e testuali che abbiamo a disposizione?

Questione aperta e per ora priva di risposta, direi.

Ma ne riparleremo, spesso e per molto tempo. Intanto, vale la pena puntare quel riflettore di cui sopra sulla possibilità di usare le IA per studiare NOI, ché tanto, per quanto si voglia razionalizzare, qualsiasi studio scientifico non toglierà nulla al fascino della mente. Il mistero del pensiero, con tutto il carico di meraviglia che si porta dietro, non sarà in pericolo.

6.

Mi viene in mente una cosa che ha scritto sui suoi canali social Christoph Niemann, poco tempo fa:

“Maybe AI will one day create images that are more dazzling than what a human being can do. Big deal. Art is not a competition to create the “best image” (whatever that may be). No image I’ve seen in a museum comes close to the visual magic of an actual sunset over the ocean either. When I’m standing on a beach or in a rainy forrest I’m touched and humbled and inspired. But I know that nature didn’t struggle to create the scene, and I’m rather confident that it doesn’t care about me sitting on some rock gazing at it. Art on the other hand, is about human interaction for me. I know a human being thought and hustled, explored and revised— or maybe just had a lucky moment. Any emotion I might have looking at an artwork, is somehow linked to that process. It’s a conversation about what the world does with us, about beauty, and fear and mortality and joy”.

(Forse un giorno le IA creeranno immagini più stupefacenti di quelle che un essere umano può creare. E allora? L’arte non è una gara a chi produce l’immagine migliore (qualunque cosa questo voglia dire). Nessuna immagine che io abbia visto in un museo si avvicina neanche minimamente alla magia di un vero tramonto sull’oceano. Quando me ne sto in spiaggia o in un bosco sotto la pioggia mi commuovo, mi sento piccolo piccolo, mi sento ispirato. Ma mi rendo conto che la Natura non si è sforzata per imbastire la scena, e sono abbastanza sicuro che non gliene importi di me, seduto su una roccia a fissarla. D’altra parte, l’arte secondo me riguarda l’interazione fra le persone. So che un essere umano ci ha ragionato, ha speso energie, ha esplorato e revisionato; o magari ha avuto solo un attimo di fortuna. Qualsiasi emozione possa suscitare in me il guardare un’opera d’arte, è in qualche modo connessa a questi processi. È un dialogo su quel che il mondo fa con noi, sulla bellezza, sulla paura, sull’essere mortali e sulla gioia.)

Giorni fa mi è venuta l’idea di chiedere ad una IA: “ Disegna un uomo elegante vestito secondo la moda dei primi anni del ventesimo secolo che passeggia in campagna. Utilizza uno stile pulito ed essenziale. Crea un’atmosfera lirica e romantica. Utilizza colori vivaci ma non aggressivi”.

(naturalmente utilizzando un linguaggio adatto alla macchina, non proprio così).

Mi sarebbe piaciuto vedere cosa avrebbe tirato fuori. Ci ho pensato per un po’ e poi ho lasciato perdere. Magari mi sono girate le scatole a dovermi registrare sulla centesima piattaforma fornendo ancora una volta i miei dati a chissà chi. Magari ho avuto paura di constatare che avrebbe disegnato qualcosa di migliore di quel che avevo fatto io. Magari ho deciso semplicemente che mi bastava aver passato del tempo a disegnare e non me ne fregava nulla di un eventuale confronto.

Magari, magari, magari…

Ne riparleremo.