Un’attività di consulenza: cose che ho imparato e che vale la pena condividere
Mesi ho fatto da consulente: una scuola abbastanza importante nel territorio in cui vivo aveva deciso di servirsi del mio aiuto, avendo aperto quattro canali social e desiderando capirne qualcosa in più. Ora; non sono un grande fan di chi occupi gli spazi che il web mette a disposizione con lezioni su come fare questo, cos’è quest’altro, gli sbagli da non commettere, i modi per arrivare al successo eccetera eccetera. Non che non apprezzi i consigli: sono solo un po’ restio a fidarmi di chi utilizza “formule”, per tutta una serie di motivi.
Proprio per questo, nel condividere qui quattro impressioni ricavate dalla bella esperienza di cui sopra, sottolineo che non considero nessuna di esse una chiave di chissà quale successo. Tutto quello che segue è un insieme di considerazioni di cui io non ho finora trovato traccia nella gran parte dei contenuti di settore che leggo quotidianamente e che, magari, risulteranno utili.
E chissà che non risultino in qualche maniera originali (anche questo aggettivo lo uso con un po’ di riluttanza, devo dire. Anche perché dubito di essere il primo a dire o scrivere certe cose).
Adattare la professionalità al contesto
“Ok, prima di aprire i nostri social facciamo un’analisi dei pubblici potenziali e…”
No. Tu arrivi che la redazione è già stata costituita e i canali già aperti.
No, non te lo avevano detto, che avevano già aperto Facebook, Instagram, TikTok e Youtube.
La redazione è composta da volontari: a parte il docente che fa da coordinatore, si tratta di liceali di età media intorno ai 17 anni.
Arrivi alla riunione con un planning mentale che prevedrebbe un’analisi del contesto, la definizione del target e mille altre cose che Kotler levati di torno.
Ma i ragazzi sono ansiosi di parlare delle loro idee e tu rischi di entrare a gamba tesa e classificarti come un problema.
Meglio rimandare. Ascolta e segui il loro entusiasmo. Ritornerai alle tue sofisticate analisi in altra sede, con il docente responsabile e la dirigente scolastica. Scriverai una relazione dettagliata sul da farsi. Con calma condividerai le tue analisi, la prossima volta.
Siamo professionisti, e va bene. Ci teniamo a dare una struttura scientifica ai nostri interventi. Benissimo.
Desideriamo procedere con ordine e metodo. Ottimo.
Ma sono tante le situazioni in cui quelle che consideriamo regole granitiche debbono essere adattate, piegate; raggirate, qualche volta. Rinunciare, anche solo momentaneamente, al proprio rigore e privilegiare una certa elasticità fa comodo ed evita che la carica di chi lavora con noi venga smorzata.
Essere consapevoli delle forze in campo
Come appena scritto: lo sappiamo, che esistono dei passaggi che, nel caso di certe attività, sono non dico obbligati ma assolutamente consigliati. Tipo che avendo aperto contemporaneamente Facebook, Instagram, TikTok e Youtube occorrerebbe un piano editoriale fortemente strutturato (magari composto a sua volta di quattro “sottopiani” interrelati). Il quale richiederebbe una metodica ricerca sui contenuti e uno studio abbastanza costante sul giusto modo di condividerli.
E a tal proposito…
…hai dato le tue indicazioni in merito.
Ma la redazione, abbiamo detto, è composta da persone la cui attività primaria non è il social media management. Le forze in campo consentiranno una continuità di lavoro limitata. Insistere sulla struttura di un piano editoriale molto articolato rischia di generare nient’altro che frustrazione.
Lascia fare. Dai poche indicazioni chiare, dai gli opportuni suggerimenti e vedi come la redazione si muove. Poi, quel che non va si mette in ordine.
Insomma: cerchiamo di agire coerentemente con quel che abbiamo a disposizione, evitando di pensare continuamente al fatto che non stiamo agendo come da manuale.
Tenere in considerazione le idee altrui
Anche quando vengono da profani. Siamo noi i professionisti, giusto? Siamo noi a conoscere i modelli e i modi della comunicazione, vero? E siamo noi che, dietro equo compenso (Equo compenso e altre creature fantastiche, prossimamente in libreria), stabiliamo cosa funziona e cosa no, eh?
Tutto (in linea di massima) vero, eppure…
Ti sei presentato con due pagine di appunti sulla tipologia di post più adatto alla pagina FB della scuola. Millemila idee, tutte approvate: bene. Ma c’era quella studentessa a cui era venuto in mente uno spunto bizzarro, che all’inizio ti sei detto che no, mica funziona ‘sta cosa? Il target, il tone of voice e poi…
E poi niente: era un’idea coraggiosa e per la miseria; può pure essere che inauguriamo un nuovo trend di comunicazione.
Qui non si parla di scienze esatte, quelle in cui o hai fatto un percorso codificato oppure niente, a certe soluzioni non puoi arrivarci. Qui parliamo di comunicazione, dicevamo; uno di quegli ambiti in cui accade pure che qualche “dilettante” proponga un’idea stravagante, ingenua e brillante. Alla quale il professionista non aveva pensato. Non si sa mai.
Una volta ho discusso con un tizio che mi diceva di non consentire mai ai suoi clienti di intervenire nelle scelte di brand identity: “Magari al cliente piace che il logo sia giallo, ma io non tengo in considerazione la cosa. Io so quali colori utilizzare e perché. Il gusto del cliente può solo creare problemi, perché non si basa su criteri oggettivi e su valutazioni funzionali”.
Vero, ma nulla toglie che il tuo cliente abbia fatto centro, pur chiuso nella sua bolla di soggettività.
Un po’ di scioltezza, e che diamine…
E un po’ di capacità di guardarsi con il giusto distacco. Perché se è vero quel che ho appena scritto occorrerà anche…
… non innamorarsi delle proprie idee
Se avete avuto la pazienza di arrivare sin qui, l’affermazione diventa abbastanza chiara dal momento che a qualcuno può sempre venire un’idea maggiormente valida della vostra, anche se quel qualcuno non è del mestiere e nella maggior parte dei casi non sa risolvere i problemi che sappiamo risolvere noi. Un’idea di cui si è innamorati sarà difficile da abbandonare, anche in favore di altre indubitabilmente più valide. Oppure non sarà necessario abbandonare nulla, ma visto che rimane l’eventualità di cambiare direzione in corso d’opera e scomporre e ricomporre i piani, converrà a questi piani affezionarsi il giusto. Sennò a farne il restyling ci si innervosisce assai. E già i tempi sono quelli che sono, ci manca soltanto questo.